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E’ veramente possibile dopo New York tornare a vivere in un piccolo centro in Italia?

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Settembre 27 2017

Me lo sono chiesto spesso. Come sarebbe tornare a vivere in Italia, dopo New York. Come sarebbe alzarsi al mattino  in una piccola città di provincia italiana? Sarebbe facile abituarsi di nuovo?

A questa domanda io riesco a dare una sola risposta.  E la risposta è no. Sia chiaro parliamo di una risposta mia, di una persona che ha sempre amato la metropoli per le ragioni per cui di solito la si ama. E sono queste: una grande varietà culturale, culinaria, la possibilità di accedere a un numero di esperienze infinito, la possibilità di incontrare l’elite creativa, finanziaria e culturale globale, la semplicità con cui si trova lavoro, o con cui puoi inventarti un lavoro, un senso di libertà che, potenziato all’ennesima potenza, spinge chiunque a dare il meglio, sia dal punto di vista creativo che imprenditoriale. Sono caratteristiche da metropoli, che nel caso di New York sono molto accentuate. Quindi io non ho dubbi: amo New York e qui voglio vivere.

Ma so anche che questo desiderio non è di tutti. Alcuni decidono, dopo New York, di spostarsi in un piccolo centro, lo fanno per “farsi una famiglia”.  Non so quale siano le conseguenze psicologiche di questa scelta. E’ veramente possibile dopo New York tornare a vivere a Salerno, a Piacenza, a Verona ( o nel New Jersey o Upstate)? Certo tornare a vivere a Milano potrebbe apparire la cosa più naturale, ma si può davvero tornare a vivere in un piccolo centro?

Difficile avere risposte sincere. Chi fa la  scelta di tornare alle origini difende giustamente a propria scelta. Lo fa innanzitutto per sopravvivenza, bisogna convincersi di aver fatto la scelta giusta per vivere meglio. Ma poi bastano due biccheri di vino per sentirsi dire una verità che è vera in quella maniera tonda che non lascia spazio a sbavature: New York come terra di una giovinezza che non vuole finire è insuperabile. Ed è normale tornare sempre indietro al ricordo della follia delle sue strade, della sua vita matta e disperata. Insomma anche chi decide di tornare indietro non rinnega la bellezza della vita newyorkese. Non nego ci siano alcuni che sono tagliati per il piccolo centro, nel quale trovano la loro dimensione naturale, e conosco anche io i benefici rassicuranti di questa scelta.

Amici, famiglia, prezzi abbordabili, qualità della vita intesa come vita tranquilla. Ma amici miei,se solo ci penso a quanto amo questo caos di New York, mi emoziono. Amo tutto, anche le camminate disperate sull’East River, i topi nella metropolitana, le difficoltà di una vita che all’inizio è stata dura ma ora è avvincente. Si semina e si raccoglie. Poi adoro vivere saltando da una metro a un taxi, perdermi nelle sue strade, e vivere in equilibrio sopra la fine del mondo. Tutto questo non troverei in un piccolo centro, e nella mia scala di valori tutto questo ha un valore importante. Posso fare a meno della “tranquillità della provincia”, non ho bisogno degli amici di una vita, non ho bisogno del cibo di quando ero bambino, non ho bisogno di ciò da cui in fondo sono scappato.

Perché la mia è stata una fuga alla ricerca della dimensione che mi apparteneva. Allora per tornare alla domanda iniziale, come sarebbe tornare a vivere in un piccolo centro? Per me traumatico, e lo sarà sempre. Non credo che col tempo invecchiando (ma io non voglio invecchiare) possa cambiare idea, ma lascio aperta questa ipotesi. E’ un’ipotesi che deve restare aperta perché ci aiuta a vivere: l’idea che un giorno possa esserci un ritorno, un luogo in cui essere accolti, che sentiamo come casa. E per me questa è l’unica risposta possibile: non tornerei a vivere in un piccolo centro, ma sapere che c’è, che esiste, e che è pronto ad accogliermi mi dà la forza per dare il mio meglio nella metropoli.

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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