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Imparare l’inglese a New York è stimolante, ma attenti agli errori piu’ comuni

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Luglio 17 2016

Di Mariagrazia De Luca

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Chi l’ha detto che l’inglese è una lingua facile? Ok, siamo d’accordo: è la lingua più diffusa, la lingua dell’Impero, del mercato, di internet, la lingua che in qualche modo ha rimpiazzato la funzione che il latino aveva da noi circa duemila anni fa.

A me tuttavia, imparare l’inglese è costato una fatica sovraumana. E poi, parlare in inglese a New York non è così scontato. Infatti, bisogna innanzitutto trovare qualcuno che lo parli, preferibilmente con una corretta dizione. New York è piena di immigrati, ognuno con il proprio “broken english”, e gli immigrati (italiani…) sono spesso i primi con cui si fa amicizia.

Ancora ricordo, d’altro canto, la mia prima conversazione con un newyokese.

“HimynameisJohnwhatsyourname?”. Quello che capii fu una sola lunghissima parola, una parola dal suono invitante ma che non aveva alcun senso per me. E, credetemi, ce n’è voluto di tempo prima che il mio cervello riuscisse a processare una parola dopo l’altra, che iniziasse a riconoscerne il suono e associarlo al corrispondente significato.

Quando si impara l’inglese con qualcuno non madrelingua, che magari lo mastica ancora peggio di noi, e magari – perchè succede spesso –  è anche italiano,  avviene quel fenomeno che si chiama “fossilizzazione” degli errori: facciamo gli stessi errori riconfermandoli di continuo e, non essendo corretti da nessuno, diventano dei veri e propri fossili, difficili, impossibili a volte da sdradicare. Gli errori che noi italiani facciamo apprendendo l’inglese, credetemi, sono contagiosi.

Falsi amici

A rendere la vita difficile a noi italiani, che vogliamo imparare inglese, ci sono i falsi amici – e credetemi, sono tanti! – e ce la mettono tutta per farci fare brutta figura.

Il mio primo lavoro è stato quello in una pizzeria a taglio nell’Upper East Side, dove si vendevano pizze di vario tipo, dalle classiche margherite a invenzioni americane come pizza hawaiiana con prosciutto cotto e ananas. Durante tutta la prima settimana di lavoro io ero convinta che la pizza Pepperoni fosse la pizza con i peperoni, quindi una pizza vegetariana. E continuavo a pubblicizzarla, quando mi si chiedeva: “che pizza vegetariana avete?”Abbiamo la pepperoni pizza!” rispondevo con entusiasmo. Immaginate la mia faccia quel giorno in cui ho realizzato che non c’era neppure la traccia di peperoni sulla pizza ma solo delle fette di salame americano?

“I’m crazy  annoyed!” dissi un giorno a un mio amico in un messaggio. Lui aveva capito che ero arrabiata (annoyed) con lui, mentre in realtà ero semplicemente annoiata.

Quando sono andata allo zoo e la mia amica mi diceva di guardare  una cosa che chiamava “ape“,  ed eravamo davanti a delle scimmie, io non guardavo loro, piuttosto cercavo gli insetti. Alora ho capito che l’inglese si prendeva gioco di me!

Volevo mettermi sotto terra quando un ragazzo mi ha invitato all’oyster bar, e io gli ho risposto che non mi piacciono le “ostriches“, senza sapere che ostriche in inglese significa struzzo, no ostrica.

Oppure quando dovevo firmare un assegno. Avreste dovuto vedere la faccia del ragazzo allo sportello della banca, quando gli ho detto “Should I firm?”, senza sapere che firm significa impresa, e firma si dice invece signature.

I verbi frasali

I verbi frasali (verbi che cambiano il loro significato a seconda dell’avverbio o preposizione che li accompagna) contraddicono tutti coloro che sostengono che i verbi inglesi siano facili.  

Ad esempio, uno dei verbi più famosi è  “to get”: get up, get back to, get back at, get away, get away with, get along, get about, get across, get ahead, get around, get at, get by, get down, get in, get off, get on, get out, get over, get through, get to, get together, get it…

Per non parlare dei verbi frasali che si formano con “to come”: Come up, come over, come across, come in, come about, come along, come again, come around, come apart, come at, come back, come between, come by, come down, come upon, come down with, come from, come in, come in for, come into, come off, come off it, come out, come against, come out for, come out with, come through, come to, come under, come up, come up to, come up with, come again, come back, come home…

Come on, guys!” Quando è troppo è troppo!

Noi con la lingua italiana abbiamo sicuramente altri problemi importanti con cui fare i conti, ma per lo meno abbiamo parole differenti per dire venire, tornare e entrare: come over, come back, come in.

 

Do e Make (Vero fare)

In italiano “si fa” tutto con il verbo FARE. Faccio la pasta, faccio i compiti, faccio errori, faccio un favore. Ecco, l’inglese invece si complica nuovamente la vita. Chi ha mai capito davvero quale sia la misteriosa regola per cui a volte usiamo il verbo do e a volte make. Perchè I make pasta, but I make mistake? La pasta è una cosa concreta e quindi uso il verbo MAKE, ma il mistake (errore) non è invece una parola astratta? E ancora, perchè I do a favor? Non sono nella stessa categoria mistake e favor?

Doppi sensi

I am coming. Sto arrivando. Ma in più di un’occasione il mio interlocutore, quando gli ho detto “I am coming!” è diventato rosso, ed ho capito allora che “to come” ha anche un significato. Fortemente sessuale. (nota di Piero: a dire il vero anche in italiano è così)

Intraducibilità

Rompiti una gamba! Break a leg! mi ha detto una mia amica il giorno del mio esame. Come? Mi auguri di rompermi una gamba? Che razza di augurio è questo? Vuoi portarmi sfortuna? Poi ho pensato che noi, quando diciamo “In bocca al lupo”, non siamo poi molto più “letteralmente” gentili.

I am going bananas! Ti stai trasformando in una banana? Invece un mio amico voleva dire che stava impazzendo.

It’s a piece of cake! Un pezzo di torta? No grazie, sono a dieta. In realtà il mio amico voleva dire, che “era un gioco da ragazzi.”

 La Pronuncia esotica dell’Italiano

A volte quando parlo in inglese, mi accorgo che alcuni interlocutori non stanno ascoltando quello che sto dicendo, perchè restano a guardarmi con una faccia inebetita. “Mi piace il suono del tuo accento! Ti ascolterei per ore.” Ed io, lì a sforzarmi di parlarti senza errori grammaticali, dopo quattro anni di dura pratica della lingua inglese, e tu neppure sei interessato a capire il senso del mio discorso?

E’ comunque un dato di fatto che non possiamo nascondere il nostro accento, definito da molti “esotico”, ma che potremmo onestamente definire un “accento pesante.” Pronunciamo tutte le vocali, ci dispiace dover tagliare le parole. Credo che lo riteniamo, in fondo al cuore, un’ingiustizia. Ad esempio, i verbi che finiscono in -ing: mi viene da pronunciare la “g”, anche se gli americani se la mangiano in un sol boccone.

Però non pronunciamo l’H. Non siamo abituati. Hotel e poche altre solo le parole che abbiamo in Italia comincianti con la lettera H. Però poi non lamentiamoci se quando diciamo che siamo affamati (Hungry), qualcuno capisce che siamo arrabbiati (Angry).

L’inglese contamina il nostro italiano

A volte l’inglese che impariamo modifica il nostro italiano. Me ne sono accorta in differenti momenti. “Scusi, potrebbe prenderci una foto?” da “take a picture”(fare una foto). Oppure “Fa senso quello che dici!”, It makes sense (ha senso).

 Questione d’educazione

Dopo quattro anni che vivo a New York, ogni volta che devo scendere dalla metro affollatissima dell’ora di punta, continuo a chiedere cortesamente alla gente di farmi passare, con: “sorry”, invece del corretto “excuse me”. Infatti sembra che “sorry” si dica non per chiedere il permesso ma per chiedere scusa di qualche torto che crediamo di aver commesso.

 Ci rinuncio…sono italiana

L’inglese come tutte le altre lingue del mondo è una cosa viva che non è mai uguale a se stessa, che fluisce libera tra i parlanti,  e si trasforma. I vocabolari e le grammatiche fanno del loro meglio per metterla dentro a una struttura, ma la lingua è una cosa esplosiva e contagiosa. Ora vedo la lingua inglese come un’amica che fa del suo meglio per aiutarmi a portare avanti il mio obiettivo (comunicare), ma non è perfetta e resta, alla fine, misteriosa.

Perché non facciamo un TOAST (brindisi) in onore della lingua inglese?

Per un “brindisi” non abbiamo mica bisogno di affettati o pane, ma di una bottiglia di vino. CHEERS!

Nota di Piero: Se volete imparare l’inglese  fatelo con i bambini. Apprenderete rapidamente.

 

 

 

 

 

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

Scopri i segreti di New York con Piero Armenti: viaggi, storie e avventure nella Grande Mela. Seguimi su Facebook, Instagram, e YouTube per non perderti nulla!

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