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Sono andato a provare la carne di Nusret, ed ecco le mie conclusioni

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Febbraio 15 2018

Se l’ unico metro di giudizio per giudicare un ristorante è “ho pagato poco e ho mangiato bene”, allora Nusr-Et non è sicuramente il luogo in cui è andare.

Qua si paga molto e si mangia alla maniera sua, cioé alla maniera di una persona che ha iniziato come macellaio in Turchia, e che in pochi anni ha fondato un impero dei ristoranti a base di carne, con oltre 10 ristoranti in tutto il mondo. La sua fama però non deriva da un semplice colpo di fortuna su Instagram, dall’abilità erotica di affettare la carne,  ma dalla fama che il suo primo ristorante, aperto a Istanbul nel 2010, gli ha garantito, insieme all’affetto della clientela internazionale che si è fatto a Dubai, in cui ha aperto nel 2014. La carne è di prima qualità, su questo non c’è dubbio, ed è parte del suo successo. Anche io l’ho trovata ottima.

Nusret (conosciuto anche come Salt Bae) è innanzitutto un ossessivo. Nella maniera positiva del termine: tutti i suoi camerieri e cuochi devono essere esattamente ciò che lui è. E infatti lo spettacolino di affettare la carne in maniera scenica al tuo tavolo viene insegnata, e la devono sapere tutti. Tutti piccoli cloni del maestro.

Qual è la mia opinione? Ora vi dico la mia, visto che ho provato sia quella di Miami e New York. Prezzi e menu identici.

Il ristorante è molto costoso, anche per i parametri di New York dove le Steak House sono già costose di per sé. 

Dal punto di vista del ristoratore però se, nonostante i prezzi, il locale è sempre pieno, ha ragione lui. Conosco centinaia di locali dal prezzo abbordabile e con cibo di buona qualità, che sono vuoti. In questo mondo così competitivo della ristorazione conta chi vince, e vince chi riesce ad attirare la clientela che si è prefissato. Non esiste una clientela migliore e peggiore. Esistono solo ristoranti vuoti e ristoranti pieni.

Questo non è un locale per famiglie, non è un locale in cui vieni la domenica per mangiare abbondante e pagare poco.  Questo è un locale nato e cresciuto per quella che io definisco “classe aspirazionale”. Ve lo spiego dopo cosa intendo.

Un ristorante che possiede una forte carica di erotismo, grazie alle luci soffuse, alla musica perfettamente calibrata, e al tipo di persone che lo frequentano. Perché anche il proprietario gioca molto con questa pornografia del cibo, e sulla sua immagine di uomo in forma, frequentatore abituale di palestre, che veste Gucci e ti affetta la carne con un Patek Philippe al polso.

 

Un locale che attira gente facoltosa, gente che segue le mode, gente che vuole provarlo almeno una volta nella vita per curiosità, ma soprattutto  persone che anche senza poterselo permettere, tra un Martini e l’altro, si fermano al suo bar, nella speranza di fare incontri interessanti, che siano di lavoro o sentimentali. Perché questa è la chiave per capire la ristorazione nelle grandi metropoli: è un investimento su se stessi. Fare rete, fare networking vale più di mille curriculum. Se vi sfugge questo piccolo particolare, allora vi sfugge cosa significa vivere in una metropoli: se si “aspira” (per questo classe aspirazionale) a qualcosa di meglio nel futuro,  a cambiare il proprio destino bisogna investire su se stessi, anche dal punto di vista delle relazioni. 

Io vado al Chivito de Oro nel Queens quando voglio mangiare buona carne e pagare poco, ma sono due esperienze diverse. Là ci vado perché cerco quella cosa lì, da Nusret ci vado perché ne cerco un’altra. Ed entrambe l’esperienze hanno un senso nella mia vita.

Andare a mangiare in un ristorante non è solo “cosa mangi”, l’esperienza complessiva va giudicata in base a tanti parametri.  Faccio un esempio.  La  tomahawk l’ho pagata 275 dollari. E’ chiaro che è cara (non carissima per i parametri di New York), ma se includete che Salt Bae, che è una star internazionale, viene al tuo tavolo a farti lo spettacolino, che vi piaccia o no avete pagato poco. Perché quell’opera teatrale dell’affettare la carne nella mia percezione ha avuto un valore superiore al prezzo che ho pagato. E vi dico di più: pur di avere quello spettacolino lì avrei anche pagato il doppio (spero Salt Bae non se ne accorga). E come me tanti altri.

Siamo stupidi? Certo che lo siamo, nell’ottica di chi giudica solo in base al parametro “mangi bene e paghi poco”. Non lo siamo, se ci giudichi nell’ottica della metropoli, di persone che collezionano esperienze, racconti, anche foto, e che si muovono a questo mondo con lo sguardo disincantato di chi vuole capire prima che giudicare. Siamo a New York perché siamo curiosi. E Salt Bae ci ha incuriosito. Tutto qua.

Anzi c’è anche un’altra cosa. Dipende anche dalle priorità della vita, dalle possibilità economiche. Se uno ha una famiglia da mantenere, ha altre priorità, ci penserà due volte prima di concedersi un lusso. Ma questo nulla toglie o nulla mette alla validità dell’esperienza in sé. In un’economia del superfluo (siamo in un’economia del superfluo, questo lo dobbiamo avere chiaro), male che vada, Nusret è solo uno sfizio come un altro. Il giorno dopo mangeremo lo spicchio di pizza a un dollaro e avremo bilanciato. O rinunceremo alla gita fuori porta, o a comprare un nuovo paia di scarpe. In un’economia del superfluo abbiamo svariate possibilità di scelta, ognuna delle quali ha lo stesso valore di un’altra. L’importante è che a sceglierlo siamo noi.

Molte delle critiche che ho ascoltato sono quelle classiche e prevedibili. Del tipo di colui che dinanzi a un’ opera d’arte contemporanea dice “la saprei fare anche io”.  Qualcuno di voi ha detto che con quei soldi si comprava una vacca intera, qualcun altro che è uno schiaffo alla miseria, qualcun altro che Nusret è un furbacchione che fa fessi i clienti. Sono tutte critiche valide, ragionevoli, e soprattutto necessarie a Nusret per certificare la sua dimensione di “persona di grande popolarità”.

  Fanno il gioco di Nusret, che continuerà ad avere i ristoranti pieni, le macchine di lusso, e a fare la bella vita, mentre la persona che lo critica avrà perso un’occasione per capire “come ha fatto”. Questa è l’unica cosa che conta, e che vi dovrebbe interessare: “Come ha fatto lui, e lo potrei farei anche io?”. Non chiudete la porta per andare via con rabbia, ma apritela e guardateci dentro. Andate a vedere sempre, in questo grande poker che è la vita. L’invito che io vi do: andateci, anche se l’odiate. Spendeteci soldi. Andate e analizzatelo come in un caso da studio, cercate di attingere dalle persone che hanno successo, per cambiare la traiettoria della vostra vita, e magari un domani potreste spingere voi stessi oltre i limiti che vi siete imposti. E infine trovare una strada. 

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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