Nemmeno New York è sopravvissuta agli attacchi d’arte del writer più famoso al mondo: Banksy, che proprio nella Grande Mela, nel corso degli anni, ha realizzato importanti manifesti di denuncia che hanno fatto il giro del mondo e suscitato l’ira dei potenti. Nessuno è ancora riuscito a dare una vera identità a questo artista, che opera nell’ombra, grazie alla tecnica dello stencil.
A New York si è fatto riconoscere, non solo per i suoi murales, ma anche per attività non proprio convenzionali. Nel 2005, entra ed esce, senza che nessuno se ne accorga dal MET, lasciando appeso in una delle sale, il ritratto di una donna dell’ottocento con il volto coperto da una maschera antigas. La stessa cosa viene fatta anche nel Brooklyn Museum, al MOMA e al Museo di Storia Naturale.
I temi favoriti dall’artista britannico sono: guerra, capitalismo, povertà e politica.
Nell’autunno del 2013, Banksy, a New York, ha avviato un progetto che prevedeva la realizzazione di un’opera al giorno per un mese intero. L’installazione, nel suo complesso, si chiamava “Better out than in” e, ad oggi, di quelle opere non ne rimangono molte visibili. Una delle sopravvissute è “Hammer Boy”, visibile sul muro di un edificio collocato nell’Upper West Side, tra la 79th Street e Broadway.
A Coney Island, invece, è ancora visibile “Tagging Robot”, un murales raffigurante un robot che scrive un codice a barre sul muro con una bomboletta spray. Oppure, nel Bronx, è rimasto intatto “Getto 4 Life”, un’opera dove un piccolo writer si fa passare le bombolette spray dal proprio maggiordomo. Se volete scoprire tutta l’avventura newyorkese di Banksy, guardate il film documentario “Banksy does New York”, uscito in Italia nel 2015.
Nel 2018, Banksy torna a colpire a New York, con due nuove opere. La prima è quasi monumentale e di denuncia. Un muro, il “Bowery Wall”, lungo 20 metri e alto 5, situato all’incrocio tra Bowery Street e Houston Street. Su questa superficie il writer inglese dipinge tutta la sua indignazione verso l’incarcerazione di Zehra Dogan, artista e giornalista curda, arrestata per essere una voce fuori dal coro che racconta con la sua arte la verità scomoda.
L’opera di Banksy rappresenta una sequenza di linee nere, 4 verticali più una obliqua che le sovrappone, a indicare le sbarre di una prigione. Tra tutte queste linee, ad un certo punto, compare Zehra imprigionata ingiustamente. Ad aiutarlo nell’impresa è stato un altro writer, Borf. Sui social quest’opera ha fatto il giro del mondo grazie all’#FREEzehradogan.
La seconda opera, invece, era stata realizzata vicino Coney Island e raffigurava un imprenditore immobiliare che, con una frusta rossa a forma di saetta, caccia dei bambini, una donna di colore e un anziano. Il murales è apparso sul muro di una stazione di servizio in disuso e voleva essere una denuncia verso il capitalismo.
Purtroppo, le opere di Banksy, a New York come in qualsiasi altra città in cui compaiono, non rimangono mai intatte a lungo. Spesso, vengono coperte dalle forze dell’ordine, o strappate ai muri per essere vendute al miglior prezzo. Ci sono casi, però, in cui i proprietari degli edifici dove appaiono, riescano a proteggerle per tempo, applicando una teca di vetro, permettendo a chiunque di ammirarle.
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Journalist, Writer, NY Urban Explorer
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