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Vi racconto com’è stato quest’anno per New York

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Febbraio 24 2021

Uno, due, tre passi. Mi fermo e guardo l’insegna luminosa. Altri tre passi, un’altra insegna. Qui c’era un tempo lo show del Re Leone, il più grande spettacolo di Broadway:

Re Leone

Anch’esso è inghiottito nel vuoto, che oramai va avanti da troppo tempo. All’inizio sembravano poche settimane, adesso invece è già passato un anno. Spio all’interno del teatro, ed è tutto abbandonato, come se fosse passato un diluvio. 

Teatro Re Leone

Un anno di silenzio, come se tutto fosse rimasto sospeso nell’attesa di un segnale di vita.  Tramortiti, i teatri di Broadway sono il luogo dove la ferita è più profonda. Non esiste in nessun’altra parte del mondo un distretto dei teatri così vivo, capace di attirare ogni singolo giorno migliaia di persone. Ci sono 41 teatri, ognuno dei quali ha tra i 500 e i 2000 posti. E si riempiono sempre. Scenografie spettacolari, attori di primissima fascia, show che costano milioni. Il “Fantasma dell’ Opera” va avanti dal 1988, oltre trenta anni di spettacoli. Adesso si è fermato.

Fantasma dell'Opera

L’ultima volta che sono andato a vedere uno show di Broadway, si trattava di King Kong, con effetti speciali degni di un film hollywoodiano. Ad un certo punto questo gorilla gigante entrava in scena, e tutti noi rimanevamo senza fiato. Uno degli attori mi scrisse anche su Instagram per ringraziarmi, perché avevo taggato lo spettacolo. Chissà che fine avrà fatto quell’attore sorridente, mi chiedo mentre i miei passi sprofondano nella neve.

Piero Armenti nella Neve

Mentre cammino penso a loro, a color che lavorano nello spettacolo, magari tornati in famiglia in qualche paese lontano del Colorado, privati dalle luci della ribalta. Basta fare pochi passi e si entra nel cuore di Times Square: qui ci sono le scalinate rosse, anch’esse vuote. Zero. Tutto è saltato. Il Radio City Hall con i suoi 6mila posti è sbarrato. Il Metropolitan Opera è spettrale, il Carnegie Hall sembra un corpo morto, lasciato appeso nel cuore della città

Times Square

La città fantasma, così la chiamano i giornali, e io la percorro senza fretta ancora incredulo per quest’anno che è passato. Manca quel “vibe” che rende New York così speciale. In genere a Times Square fai a spallate per passare, i pupazzetti ti saltano addosso per una foto e qualche mancia. Ora c’è campo libero mentre il Naked Cowboy non si è mai arreso.  Continua lì a fare da attrazione per turisti che non ci sono. Ma è lì, perché è un americano vero, e oppone la sua personale resistenza contro un destino beffardo, con i suoi pettorali alti sfida un mondo che sta andando a rotoli. Mi faccio una foto con lui sotto la neve. “Fratello- gli vorrei dire- usciremo da tutto questo, stanne certo” ma non gli dico niente.

Naked Cowboy

 I bus scoperti sono vuoti, ogni tanto qualche turista che si gode la città solitaria, ma è gente che viene dai dintorni. Stardust, il fantastico Diner dove i camerieri ballano e cantano sui tavoli, è spento in un letargo che ricorda i lunghi inverni siberiani. A qualcuno la tristezza piace, perché questa New York spenta e malinconica ha il suo fascino. Io non la vedo così. Questa è una metropoli di affollamenti e caos, senza i quali non è New York. Allora chiamiamola in un altro modo questa città, diamole un altro nome, nel frattempo, tipo Waiting New York.  Io la rivoglio indietro com’era: straordinaria.

 I ristoranti hanno creato all’esterno dei capannoni per mangiare, alcuni sono carini fatti con legno e luci, altri sono orrendi, sembrano accampamenti militari, e forse è meglio così, in fondo stiamo combattendo una guerra e bisogna ricordarselo sempre. Ma senza la ristorazione Manhattan soffre, manca tutto il networking, gli eventi, il catering.

RistorantiRimaniamo chiusi in casa in un eterno spaesamento che è la dimensione unica delle nostre vite. Questo tempo che è passato a cosa è servito? A Nulla. Un anno buttato al vento. Lo sconforto mi assale ogni tanto, anche perché l’agenzia è chiusa da oltre un anno, ma poi lo sconforto passa perché vedo la luce in fondo al tunnel, grazie ai vaccini, e in ogni caso mi sono abituato a questa nuova vita. E la cosa non mi piace, perché non mi voglio abituare. Voglio tornare a lamentarmi per le ragioni opposte. Voglio dire quello che dicevo prima: “Troppa gente a New York, non si riesce a vivere”.

Intanto, mi dico mentre cammino, ho fatto qualcosa, mi sono dedicato ad un altro progetto (questi corsi su Facebook e Instagram). Mancano gli abbracci, le pacche, la smania di grandezza e di apparire della notte newyorkese, che sono la ragione di vita della metropoli. Adesso andare al ristorante è un’esperienza dimezzata, ridotta a pura soddisfazione alimentare. Tutto è permeato da un senso di tristezza, e ci guardiamo come per dire quando finirà? Ogni settimana i giornali propinano la lista dei ristoranti che hanno chiuso. Troppi. Ogni zona ha sofferto. La gente non va in ufficio, e molti newyorkesi facoltosi sono andati via nelle seconde case. Tutta la zona di Times Square e di Midtown ha vissuto la pandemia come una catastrofe. Da un giorno all’altro sono scomparsi sia i turisti sia coloro che lavoravano nei grattacieli. Un tonfo totale, che ha svuotato i locali commerciali di ogni prospettiva. Spio all’interno di un Diner qualsiasi, e vedo tavoli vuoti e lo sguardo afflitto di chi ci lavora dentro.

In una città così frenetica, sono venuti a mancare i lavori tradizionali: i tassisti sono in difficoltà, dei camerieri c’è meno bisogno, si sono invece moltiplicati i rider che in bicicletta portano un pasto caldo dalla cucina alle case dei newyorkesi. Un tempo a fare le consegne erano gli ultimi arrivati in America: asiatici, messicani, indiani, in questo loro primo passo verso il sogno americano. Ora invece puoi trovarti un po’ tutti, molti giovani di bella presenza. Li vedo mentre mi consegnano la busta col sushi e mi chiedo se siano aspiranti attori di Broadway, se tra loro ci sia quell’attore di King Kong. Non vedo nessun volto davvero felice in questa città. La crisi si rivela in questi piccoli segnali, nella somma di piccole tristezze personali, nelle tattiche di sopravvivenza che ognuno ha adottato per gettare il cuore oltre l’ostacolo. New York ripartirà. Ma quando? I negozi continuano a chiudersi, se passeggi per Midtown colpisce il moltiplicarsi di cartelli “Rent”, mentre i commessi sulla Fifth Avenue aspettano annoiati un cliente che non arriverà mai.

Sono invece aumentati i vigilantes, per evitare i furti. Valentino ha chiuso per sempre, ed era uno dei nomi storici sulla Quinta Strada. Passo davanti al Lavo, qui venivo a passare i venerdì notte, a danzare, a celebrare una settimana di lavoro. Sono le undici di sera, e il venerdì c’era sempre la fila di ragazzi che provavano ad entrare, per ballare sorseggiando vodka ed ammiccandosi a vicenda. Ora tutto chiuso, sbarrato. Le notti di New York sono scomparse. Times Square si è trasformata in un palcoscenico per aspiranti Tik Toker, e sparuti turisti che vengono dalle vicinanze.

Carrelli hot dog I carrelli degli hot dog scricchiolano nel buio, il ponte di Brooklyn ti permette di passeggiare indisturbato, solo il Central Park è riuscito a mantenere la sua vitalità. La gente non l’ha mai abbandonato, neanche durante i mesi peggiori. E infatti è l’unico luogo in cui sembra che la pandemia non sia mai arrivata, è il mio rifugio ideale quando voglio ritrovare la città che conoscevo.

 

 

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

Scopri i segreti di New York con Piero Armenti: viaggi, storie e avventure nella Grande Mela. Seguimi su Facebook, Instagram, e YouTube per non perderti nulla!

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