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Gianni Fontana e lo studio di registrazione a Brooklyn

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Luglio 27 2016

Di Mariagrazia De Luca

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Scendo alla fermata Nostrand della metro A, nel quartiere di Bud-Stuy, Brooklyn, per andare a trovare G nel suo studio di registrazione. Gianni Fontana, conosciuto dai suoi artisti hip hop come G, è un ragazzo italiano che da 10 anni lavora nel profondo Brooklyn registrando e producendo oltre 1000 artisti locali e nazionali. Il suo Explode studios, che comprende due sale di registrazione, aprì infatti nel 2006 ed è un punto di riferimento per la comunità hip hop di Bed-Stuy da ormai una generazione. “I ragazzini che venivano a registrare da me 10 anni fa ora sono adulti”. La storia di G sa dell’incredibile. Di origini mezze pugliesi, mezze emiliane e cresciuto a Milano, G ha girato parecchio per il mondo. A Milano si sentiva discriminato perchè era del “sud”. “Alcuni ragazzini della mia età mi chiamavano africano ma con tono discriminatorio.” G ha vissuto in casa, nella sua Italia, le discriminazioni tipiche del meridionale che emigra nel “nord” del paese. “L’hip hop mi ha salvato, perchè mi fatto capire che non dovevo vergognarmi di essere del sud, ma dovevo invece esserne orgoglioso.” Gli chiedo quindi se “l’orgoglio nero” non sia un concetto applicabile anche alla situazione d’immigrato nel nord d’Italia, e non soltanto ai neroamericani e G mi risponde senza pensarci due volte “Al 100%”. G mi ha confidato più di una volta: “l’hip hop è l’unico ‘posto’ dove mi sento a casa.”

Il grande sogno di G, la sua missione non solo lavorativa ma anche personale, è quello di dare voce agli artisti hip hop di Brooklyn, alle loro canzoni, alle storie che hanno da raccontare. Ed è per questo che G sta lavorando all’apertura di una radio, una piattaforma web per mettere insieme tutti gli artisti con cui ha lavorato fin’ora e lavora tutt’oggi e farli ascoltare non solo dagli amici, o dalla comunità, ma dal mondo intero. “Magari in una casa giapponese ascolteranno presto uno dei miei artisti hip hop di Bed-Stuy.”

 

Brooklyn è pieno dei migliori talenti degli Stati Uniti, che putroppo spesso hanno difficoltà a trovare un canale per essere ascoltati. “Io voglio dare un servizio accessibile agli artisti di Brooklyn perché possano emergere” mi dice G, con tono deciso.

Gli artisti con cui lavora G sono spesso nati e cresciuti nel quartiere, tra i projects, le case popolari che in molti definiscono dei veri e propri “ghetti”, dove le persone con basso reddito vanno a vivere, non potendosi permettere di pagare un normale affitto. E spesso gli artisti raccontano dello “struggle”, le difficoltà, le lotte per la sopravvivenza, le faide tra gangstars, le cose che vedono e vivono quotidianamente. “Le storie che raccontano i miei artisti sono autentiche, perchè l’hip hop, sebbene nei testi a volte esageri volutamente nel descrivere la realtà, non mente mai.” Gli artisti parlano in modo diretto, senza fronzoli, usano anche giochi di parole, non sempre facili da capire per chi non mastica lo slang di Brooklyn, per chi non è familiare con le realtà in cui loro vivono quotidianamente. Ma è tutto vero, “l’hip hop è vita vera.”

“Negli ultimi anni l’hip hop sta prendendo anche direzioni diverse, è spesso più commerciale. Sono lontani i tempi in cui i Public Enemy cantavano Fight the power. Non si sa bene da che parte l’hip hop di oggi stia andando.” E Gianni storce la bocca mentre guardiamo su Youtube video di Fetti Wap, Young Thug, Future.“Era impensabile anni fa che queste persone potessero diventare famosi artisti hip hop. Cantano anche male, stonati, con testi senza un messaggio vero e proprio. Però l’hip hop oggi è anche così, non smette di sperimentare”.

Con G andiamo a farci un giro per il quartiere, per trovare qualcosa da mangiare. “Ti porto in un posto dove fanno hamburger vegetariani con yucca fritta e poi tu mi offri un espresso al bar all’angolo”. Bed-Stuy è un quartiere multietnico che sta cambiando molto negli ultimi anni. Nuovi ristoranti, gente nuova  in giro. Da tanti anni che vengo a trovare G qui a Bed-Stuy, ma è solo ultimamente per le strade si incontrano asiatici, americani bianchi, europei, etc. in quello che era il quartiere “black” per eccellenza. Bed-Stuy, come molti altri quartieri di New York, si sta gentrificando, con più ricchi che si trasferiscono qui e la gente del posto spesso costretta a emigrare sempre più fuori, più in periferia.

La yucca fritta è ottima e l’espresso non è niente male. Torniamo in studio dove ci sta aspettando Sha Money, che si fa chiamare ora, mi spiega G, Piimp Blossom. Piimp Blossom, una vecchia conoscenza di G., è un ragazzetto sui trentanni, venuto in studio per la sessione di registrazione delle 3.00 pm, ma in anticipo di una ventina di minuti. “Dovresti intervistare Piimp Blossom”, mi dice G. “Lui ha molte storie da raccontare”. G mi spiega brevemente, mentre l’artista si allontana un attimo con una sua amica venuto a accompagnarlo, che Piimp Blossom è nato e cresciuto nei projects qui accanto lo studio, uscito appena di galera dopo cinque anni per “qualcosa” che deve aver commesso. E la prima cosa che Piimp Blossom ha fatto, dopo questa lunga assenza dall’Explode Studios, è stato ricontattare G, per incidere canzoni.

Mancano pochi minuti alla sessione di registrazione, ma ne approfitto per chiedere a Piimp Blossom se posso fargli qualche domanda, e se per lui sia un problema essere registrato, visto che parla veloce con un marcato accento di Brooklyn che non sempre afferro, con una cadenza musicale che potrebbe essere una canzone hip hop. Sembra quasi che parli per rime, a tempo, e io resto ad ascoltarlo stregata.

Piimp Blossom è nato e cresciuto in Brooklyn e tutta la sua musica racconta le difficoltà che ha dovuto affrontare sin da bambino, quando ha iniziato a frenquentare “the street” e poi, una volta diventando grande, quando non era più controllato dai genitori. “Nella mia musica racconto cosa ha significato crescere, incontrare e avere a che fare con tanta gente. La mia musica racconta tutto questo.” Chiedo a Piimp Blosson cosa voglia comunicare attraverso la sua musica, e lui mi risponde che “attraverso la mia musica io grido la mia vita! Nessuno può dire la mia storia al posto mio, sono l’unico che la può dire.” La musica è una cosa seria, una cosa attraverso la quale si può raggiungere la felicità. “La felicità sempre viene dal basso.”

Chiedo a Piimp Blossom quando ha iniziato a fare hip hop, e lui guarda verso G, e abbozza un sorriso complice. “Lo studio di G ha aperto 10 anni fa, e 10 anni fa io ho iniziato a registrare qui, con i miei boys. Siamo stati i primi a toccare questi microfoni. Ma ho sempre fatto hip hop, da quando ho 11 anni. Ma a quel tempo ero troppo piccolo, e questo emergeva anche dai miei testi musicali. Oggi posso fare un hip hop più maturo, perchè conosco meglio la vita.”

Non sempre è facile afferrare i testi di artisti hip hop come Piimp Blossom, perchè sono pieni di giochi di parole. “La mia musica è succosa, e faccio tante allusioni. Ti do la mia lezione di vita attraverso alcune frasi che devi cogliere nei miei testi musicali.”

Piimp Blossom nei suoi testi si rivolge a donne e uomini, soprattutto adulti. A persone che stanno cercando di “make money”. Ma soprattutto per Piimp Blossom “fare musica significa creare, significa semplicemente fare musica.”

Piimp Blossom racconta della difficoltà di crescere e vivere in un quartiere povero, dove per fare soldi e diventare di successo ed emergere, non sempre si segue la strada più produttiva e positiva, ma quella che sembra essere l’unica possibile. E si fa un po’ di tutto, pagandone poi le consequenze. “Attraverso la mia musica faccio rivivere tutte queste situazioni, tutte le cose che ho visto in vita mia. E le racconto tutte dal mio punto di vista, la mia unica prospettiva.”

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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