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Le due Little Italy in festa

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Settembre 20 2016

Di Mariagrazia De Luca

 

Mulberry Street, la “Little Italy di downtown” è in festa. Concerti, processioni, “contest” culinari (come la gara annuale di polpette del 24 di settembre)… e molto altro. Le strade della Little Italy, che resiste imperterrita all’invasione della limitrofa Chinatown, comunità di cinesi residenti a Canal street in continua espansione, si riempiono in questi giorni di newyorkesi amanti dell’Italia, e non solo, per celebrare il momento più atteso dell’anno: la festa di San Gennaro. Dal 15 al 25 di settembre è in corso nella Little Italy di Manhattan per il novantesimo anno di fila il festival dedicato al patrono di Napoli.

Controllate il programma: http://www.sangennaro.org/

Da circa due settimane gli italo-americani di New York sono impegnati in grandi e vivaci festeggiamenti. La settimana scorsa la comunità della Little Italy di Belmont, nel Bronx, (chiamata “colonia italiana del Bronx”, a causa dell’incredibile ondata di immigranti italiani sin dagli inizi del 1900) ha celebrato il Ferragosto, sicuramente meno famoso e pubblicizzato della festa italo-americana di downtown, ma che riserva sorprese incredibili. La tradizione del Ferragosto nel Bronx non è così antica, ma risale a 15 anni fa e quest’anno ha coinciso con il Memorial Day, permettendo così alla comunità di Belmont di ricordare, nel giorno dei loro festeggiamenti, anche l’evento che più di tutti ha lasciato una ferita aperta a tutta New York, da Manhattan, Brooklyn, Queens fino al Bronx.

Avrei potuto essere in una qualsiasi sagra di paese, con i tipici chioschetti di porchetta e hot dog, con gente di tutte le età a mangiare e a sorseggiare vino o una ghiacciata birra (d’obbligo una Moretti) accomodata tra i tanti tavolini e sedie attrezzati per le strade, con tarantelle e antiche canzoni napoletane a fare da sfondo a questa festa tanto sentita dalla comunità italo-americana della Little Italy del Bronx: the Little Italy street food Ferragosto Festival.  La versione americana dell’antica festa istituita dall’imperatore Augusto ancor prima della nascita di Gesù (18 A.C), il Feriae Augusti, e poi ripresa dal Cristianesimo come giorno dell’Assunzione di Maria in cielo, viene posticipata alla seconda settimana di settembre.

Si respira un senso di “community” and “family” non solo tra gli storici abitanti italo-americani o tra gli italiani venuti appositamente in “gita” qui nel Bronx per respirare un’aria di casa, ma anche tra i tanti albanesi, i latini e la variegata popolazione newyorkese, oggi più che mai, integrata a Belmont nella celebrazione di una festosa italianità. Il centro della festa è ad Arthur Avenue, soprattutto tra quei pochi “blocks” che corrono dalla 187th street alla 184th

Nel mercato al coperto di Arthur Avenue, fondato dal sindaco La Guardia nel 1940, è in corso un karaoke di canzoni napoletane. Ogni volta trovo incredibile il fatto che gli italo-americani conoscano  così bene il dialetto, molto meglio dell’italiano standard, e come spesso nelle loro frasi americano e napoletano (o siciliano) si mescolino in modo armonioso. “Do you wanna u’ café?”

Immancabile nel repertorio del karaoke,“Tu vuò fa’ l’Americano”, canzone di Carosone che racconta dell’influenza della cultura americana sulla nostrana, e di come in fondo si sentisse il fascino e anche il pericolo di questa contaminazione culturale d’oltreoceano.

Non è stato facile riuscire a spiegare ai miei amici, soprattutto non europei, il significato di canzoni come Marina, Marina, Marina ti voglio al più presto sposar… cantata da uno degli improvvisati cantanti del Festival. Una canzone impensabile in un contesto italiano contemporaneo, quanto piuttosto perfetta rappresentazione di un una cultura italiana di più di mezzo secolo fa, quando molti dei nostri nonni dedicavano alle tante Marine o Marie (quasi tutti abbiamo avuto una nonna o una zia Maria, o no?), canzoni tanto appassionate.

Non posso negarvi che dopo aver fatto una ventina di degustazioni al banchetto del vino, nei pressi della “cantina vini & liquori”, Liquor Store di Arthur avenue, gestito da un simpatico albanese che parla un perfetto italiano, dove i miei amici internazionali si esaltavano nel provare in diversi “rounds” il Brunello di Montalcino e i vari amari e limoncelli messi a disposizione per noi e per i clienti, ho iniziato a confondere i piani spaziali e temporali.

Siamo alla festa della Porchetta di Ariccia o siamo ad Arthur avenue nel Bronx?

“La cantina vini & liquori” è fornitissima di prodotti italiani, ma non solo. “Non avete mica anche l’Amaro del Capo?” ho chiesto al commesso, un italo-americano sulla trentina. Il ragazzo quasi paralizzato di fronte alla mia domanda, dopo avermi lasciato per qualche secondo nell’incertezza di averlo offeso profondamente, scompare per un attimo tra i banconi del Liquor Store, per poi tornare inforcando una bottiglia di Amaro del Campo, accompagnando il suo gesto deciso nel porgermela con un sorriso sarcastico. “Come posso aver pensato che fossero sprovvisti di Amaro del Capo?” ho pensato, vergognandomi della domanda rivoltagli poco prima.

Nella Little Italy del Bronx è difficile incappare in trappole per turisti – come invece accade spesso nella Little Italy downtown, dove la comunità italiana, o meglio quel poco che ne è rimasto dopo l’accerchiamento di China Town delle strade storiche appartenenti alla comunità italiana, prima fra tutte Mulberry Street, non è niente di più che la sagoma di quello che fu la gloria passata della comunità italiana in quel quartiere decenni fa.

Nel Bronx vi assicuro che si possono trovare mozzarelle di bufala autentiche, e pure ad un prezzo onesto. Da Teitel lavorano dei fratelli molto simpatici, che amano chiacchierare con i clienti, soprattutto italiani, ed offrire degustazioni di parmigiano reggiano o altri prodotti. Ho comprato qui spesso Pandoro Balocco, torrone al cioccolato e mandorle Strega, “fresh buffalo mozzarella” e altri prodotti che non hanno niente da invidiare ai nostri autentici, venduti dai fratelli Teitel con un certo orgoglio nazionalistico.

Ogni negozio di Belmont ci tiene a specificare la tradizione familiare “antica”. Teitel Brothers, since 1915. Madonia Barkery, since 1918. Cosenza’s Fish Market, since 1918. Biancardiàs Quality Meats, since 1930, etc.

Il pane casareccio, quasi impossibile da trovare a Manhattan, viene invece venduto nei forni di Arthur avenue. Quando capito da queste parti – piuttosto spesso, visto che dista meno di un’oretta da Manhattan, faccio sempre tappa fissa da Cerini. Questo negozietto è pieno zeppo di prodotti alimentari e di accessori da cucina italiani. Il cioccolato in polvere Ciobar ad esempio, l’ho trovato solo da Cerini, così come le caramelle Rossana, gli Abbracci Mulino Bianco. Il caffè Lavazza ha sicuramente prezzi più competitivi qui nel Bronx, piuttosto che nei tanti supermercati di Manhattan.

 

Di ristoranti italiani la Little Italy del Bronx ne è piena. Avevo sentito parlare di un personaggio molto popolare, uno chef famoso molto amato dalla comunità di Belmont, Roberto. Difficile incontrarlo di persona, ma al suo ristorante i camerieri hanno sempre un occhio di riguardo per gli italiani in visita. “Prego, si sieda al bar, le offro un vero espresso!”. Il cameriere albanese aveva voglia di chiacchierare, e ho approfittato per riposarmi sorseggiando un espresso dall’aroma inconfondibile prima di riprendere il viaggio verso l’isola di Manhattan. “Roberto non è qui, ma puoi passare un altro giorno”.

Riattraversando per l’ultima volta la “sagra” della Little Italy, vengo immersa visivamente dalle tante icone italiane come, tra le tante, una grande stampa del papa sorridente che alza il pollice in senso di approvazione, oggetti “folcloristici” improbabili come rosari da preghiera tricolori, magliette e gadget delle squadre di calcio, con Roma e Lazio in primo piano. I miei amici internazionali sono estasiati dall’allegria e esuberanza del Ferragosto italiano, un po’ storditi dalle tante degustazioni di vino e limoncello offertaci dal ragazzo albanese del Liquor Store, e mi confessano che hanno una voglia incredibile di viaggiare presto per l’Italia, di vedere e vivere in prima persona un paese che oggi hanno solo in qualche modo immaginato.

Vorrei dire loro che l’Italia reale è molto diversa da questa del Ferragosto della Little Italy del Bronx, un po’ reale un po’ raccontata per stereotipi, e che di Italia non ne esiste solo una, ma tante, tantissime. Che nord e sud continuano ad essere due mondi a volte distanti, e che un paesino italiano può avere usanze, dialetto, ricette di cucina a volte diversissime dal limitrofo. Che le canzoni di Marina Marina Marina ti voglio al più presto sposar… ormai sono fuori moda, ma a volte sono anche revival durante sagre, serenate o altre occasioni in cui giovani e meno giovani si ritrovano a canticchiarla all’unisono.

Vorrei dirgli anche che il mio paese mi manca molto, e non so neppure bene cosa sia a mancarmi di più, oltre, certamente, alla famiglia e ai luoghi vissuti tante volte. Sicuramente manca il sole, i cieli azzurri e il dialetto, la lingua comoda per me. Ma, tra le tante cose, anche qualcosa di più profondo, interno, viscerale.

La parte del mondo dove si nasce è legata a noi come un incorruttibile cordone ombelicale, che non si riesce a tagliare mai, neppure quando si è deciso di diventare “cittadini” del mondo, di vivere il pianeta come la grande casa comune, e quando si è deciso di inseguire il sogno di poter scegliere New York come la casa dove rifugiarsi, dove vivere e scrivere, da dove raccontare le proprie avventure.

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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