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Viaggio nella fashion week newyorkese, in compagnia di Giusy, che ci racconta il dietro le quinte

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Settembre 26 2016

 Di Mariagrazia De Luca

Da poco più di una settimana si è conclusa qui a New York la tanto attesa Fashion Week, un evento semestrale dedicato alla moda, in cui, oltre alle tante sfilate ed eventi in programma, a cui hanno accesso spesso solo pochi  “addetti ai lavori”, le strade della Grande Mela si riempiono di tanti amanti del “fashion”, che per l’occasione vestono eccentrici e colorati vestiti, trasformando alcune aree della città in una sorta di “passerella a cielo aperto”.

Ricordo che due anni fa, non potendo partecipare a nessuno degli eventi della Fashion Week, avevo trascorso in compagnia di fotografi, curiosi e visitatori occasionali, un paio d’ore all’entrata del Lincoln Center, osservando modelle e ospiti che nel recarsi alla sfilata, mi passavano davanti spesso con aria da divi, indossando abiti di alta moda. Fu come assaporare, sebbene dal di fuori, parte di quello che era il “vibe” della Fashion Week di New York.

La Fashion Week newyorkese è un evento “antico”, nato durante la seconda mondiale, quando viaggiare in quello che era stato il centro della moda mondiale fino a quel momento, la Francia, era divenuto impraticabile. Fu per opera di una donna, Eleanor Lamber, la direttrice dell’organizzazione promozionale dell’Industria della moda americana dell’epoca, che Vogue e altre riviste di settore iniziarono finalmente a dare spazio nelle loro prestigiose copertine a quella che agli albori si chiamava la “Press Week” americana.

In esclusiva per Il mio viaggio a New York, abbiamo avuto il piacere di farci raccontare la Fashion Week newyorkese da Giusy Russo, una siciliana residente a New York e studentessa al FIT, Fashion Institute of Technology di New York, che vi ha partecipato attivamente.

Giusy, oltre ad aver lavorato per Aeffe USA, succursale americana dell’azienda di Alberta Ferretti che distribuisce in America anche i brand di Moschino, Philosophy, Emanuel Ungaro, Pollini, tra i tanti, e aver partecipato con la stessa alla Fashion Week nel settembre 2013 (collezioni primavera-estate 2014), e febbraio 2014 (collezione autunno-inverno 2014), quest’anno ha collaborato con molti altri designer nazionali e internazionali.

Giusy, raccontaci come è iniziata la tua esperienza nella Fashion Week newyorkese.

Prendere parte alla Fashion Week è sempre un’esperienza incredibile.Quando ho iniziato nel 2013 a lavorare come Public Relations Assistant per Aeffe USA non potevo credere di star davvero facendo il lavoro che ho sempre sognato nella vita, nella città che amo di più al mondo e per di più per una azienda d’Alta moda italiana, e oggi anche per aziende internazionali. Nella mia collaborazione con Aeffe USA, ho avuto la possibilità di partecipare a due sfilate della linea Philosophy quando la designer era Natalie Ratabesi (n.d.r. adesso il nuovo designer è Lorenzo Serafini).

In che cosa consisteva il tuo lavoro?

Ero nel “Front of the House”,  ossia la parte organizzativa legata alle PR e quindi agli ospiti, ai VIP invitati all’evento e che danno visibilità al brand, alla relazioni con stampa e alle testate più importanti come Vogue, Harper’s Bazar, Elle, etc. Nonostante la sfilata, il “runway show”, duri solo 10 o 15 minuti, c’è tanto, tantissimo da organizzare. Dietro ai pochi minuti di “gloria” della sfilata, c’è un lavoro di mesi, fatto di incastri tra uffici stampa e PR, agenzie di produzione che organizzano la parte concreta dello show, e poi, chiaramente il mondo del backstage, e con esso il makeup, il cosiddetto “trucco-parrucco”, le modelle, le vestieriste e tutto quello che concerne il “dietro le quinte”. Quest’anno, ugualmente ho collaborato con diversi designer, sia americani che internazionali. Per delle “policy” riguardanti una stretta privacy, non posso entrare nei dettagli del backstage di questa Fashion Week 2016.

Sembra che la sfilata sia solo la punta dell’iceberg, e dietro c’è un lavoro di squadra complicato e delicato.

Assolutamente. Un lavoro di squadra, il cui successo dipende da una grande unità e coesione di tutti le componenti. La riuscita finale, lo show, poi è determinante per l’immagine del brand rappresentato ed è il momento più atteso.

Giusy

Cosa ha la Fashion Week di New York che altre città non hanno?

A New York c’è una magia unica, innanzitutto per via dell’internazionalità degli stilisti che vi partecipano. Se alla Fashion Week di Milano sfilano Fendi, Gucci, Prada e i grandi marchi italiani, come a Parigi Louis Vuitton, Dior e Chanel tra i tanti francesi, a New York i designer vengono anche dal Sud America, dall’Europa, dall’Asia, insomma “from all over the world”. A parte Londra, che in questo approccio internazionale è simile a New York, solo nella Grande Mela si vedono tante nazionalità sfilare tutte insieme, nazionalità il cui comune denominatore è che hanno principalmente il loro mercato più importante qui negli Stati Uniti. Oltre a sfilare stilisti come Oscar de La Renta e Carolina Herrera, che sono brand “storici”, ve ne sono tanti più recenti, come per esempio Jeremy Scott, che oltre ad essere lo stilista di Moschino, sfila a New York con il brand che porta il suo nome. E poi, credetemi, non mancano mai sorprese… quest’anno per esempio si sono celebrati i venti anni di attività dello stilista Jimmy Choo con grandi festeggiamenti, come un concerto di Mary J. Blige nel Buddha Bar del Meatpaking District, accompagnato da performance di danza della modella Amber Valletta.

E dal punto di vista dello “scenario”, luogo della sfilata?

Lo scenario qui a New York è meno elaborato e appariscente, senza tanti fronzoli. C’è sempre qualcuno tra gli stilisti che rompe le regole: DKNY ad esempio ha usato il parco della High Line come passerella, pur non aprendo l’evento al pubblico. Rebecca Minkoff invece ha sfilato per strada, a Green Street nel quartiere di Soho. Quest’anno poi si sono visti maggiormente, in termini commerciali, dei cambiamenti con la formula “see now-buy now”, lo vedi “adesso” e lo compri “adesso”. D’altronde, fa più “appeal” comprare quello che si vede subito, no? Tom Ford invece non ha sfilato con una collezione spring-summer 2017 come gli altri, ma con una fall- winter 2017, invertendo l’ordine tradizionale delle stagioni.

Questo “rompere le regole” cosa provoca sul mercato e verso il pubblico in generale?

Invertire l’ordine temporale delle collezioni, come Tom Ford, o applicare la politica del “see now-buy now“, come ha fatto Rebecca Minkoff, aprendo dopo la sfilata le porte del suo negozio già allestito con la collezione corrente, si creano effetti commerciali importanti per le aziende e per i “retailers”. I dati ci dicono che molti brand che hanno reso accessibili ai loro clienti le collezioni subito dopo le sfilate hanno avuto incrementi delle vendite notevoli se paragonate a quelle degli anni passati. In più Rebecca Minkoff, come Dolce e Gabbana a Napoli prima di lei, sfilando per strada, a mio parere, in qualche modo ha dato la possibilità a persone “non addette ai lavori” di entrare a far parte di quello che è agli occhi di tutti il momento più esaltante e appariscente della moda, e così facendo ha avvicinato nuovi potenziali acquirenti e ha reso il brand ancora più “aspirational”. Perché ricordiamoci sempre che, sì è bella la sfilata, ma la cosa più importane sono le vendite.

Oltre alla stampa e alle “celebrities”, chi altro partecipa alla Fashion Week?

Naturalmente i “buyers”, i compratori che fanno da intermediari tra chi produce le collezioni e i negozi che le venderanno. Qui negli Stati Uniti, e non solo a New York, sicuramente sono ai primi posti tra i “retailers” dell’alta moda: Saks Fifth Avenue, Bloomingdale’s, Barneys New york, Bergdorf Goodman.

Che ruolo hanno gli italiani nella Fashion Week di New York?

Gli italiani sono ovunque, (ride) e sotto tante vesti, anche nella produzione. Di certo gli stilisti italiani sfilano soprattutto in Italia. Tuttavia, si trovano anche designer italiani che si rivolgono principalmente ad un mercato americano, come Chiara Boni e Francesca Liberatore.

La Fashion Week rimane una cosa d’elite per i pochi “addetti ai lavori”?

Sì, in gran parte. C’è chi dice che si possono comprare i biglietti per partecipare dal vivo agli show, ma onestamente, a mio parere piuttosto che assistere a una sfilata di dieci minuti, e pagarla magari un sacco di soldi, conviene gravitare fuori le location dove vengono organizzate le sfilate. Vedrete passare davanti ai vostri occhi VIP, modelle, attori e personaggi famosi, vestiti dai brand che sfilano… vi assicuro che respirerete l’atmosfera della Fashion Week di New York.

Dove si respira di più questa atmosfera, questa “vibe” di cui parli?

Nei pressi dei luoghi dove sono stati organizzati gli eventi, quest’anno Pier 59 Studios, Skylight Clarkson, Skylight at Moynihan, oppure negli anni passati al Lincoln Center e ancora prima a Bryan Park. Gli stilisti scelgono le location, che quindi possono variare di stagione in stagione.

Cosa bolle in pentola per la prossima Fashion Week newyorkese di febbraio 2017?

Chi può saperlo? Una cosa è certa: altre grandi sorprese ci attendono.

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

Scopri i segreti di New York con Piero Armenti: viaggi, storie e avventure nella Grande Mela. Seguimi su Facebook, Instagram, e YouTube per non perderti nulla!

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