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Dal dottorato a New York, viaggio di sola andata

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Agosto 5 2017

Spesso mi chiedete come è nata l’idea di una pagina facebook su New York.

Bisogna fare qualche passo indietro, partire dal 2008. La mia vita funzionava così. Frequentavo il dottorato in cultura dei paesi ispanoamericani, presso l’Orientale di Napoli, e invidiavo anche il ragazzo che preparava il caffé sotto casa. Per rilassarmi prendevo l’ascensore e andavo al suo bar.  Mi concedevo due passi, ordinavo un espresso,  osservavo ogni suo movimento, cercando di dilatare il tempo. Dall’inizio alla fine quella manualità precisa e quell’espresso mi sussuravano qualcosa. Invidiavo quella concretezza, mentre io ero immerso in un mondo immateriale. Invidiavo quel fare qualcosa di reale, di utile, che rendeva felice una persona al costo di uno spicciolo. Preparare un caffé, e poi pensare ad altro, pensare alla vita, all’amore, al futuro. Io no. Io non potevo pensare ad altro. Stavo scrivendo la tesi di dottorato. E chi lo ha fatto sa esattamente di cosa parlo: è come un vortice dentro cui rimani fermo, sospeso. Oltre quel vortice ci sarebbe la vita reale. Ma non ti è concesso andare.  Dentro al vortice ci sei solo tu, la tua tesi di dottorato, lo smarrimento per il futuro.

Il dottorato per tanti aspetti, soprattutto quello in discipline umanistiche, è un momento depressivo e di isolamento. Aiuta a crescere, perché si cresce nutrendosi di avversità. Non stavo tirando su un un grattacielo, che poi la gente avrebbe visto e mi avrebbe applaudito. Stavo costruendo un edificio immateriale, una tesi di dottorato, che non interessava probabilmente a nessuno. Non al barista, non al vicino di pianerottolo, né ai miei genitori. E quasi sicuramente non mi avrebbe garantito l’accesso alla società del benessere, ma sarei stato spinto ai margini, tra quelli che devono vivere miseramente low cost.

 Avevo il divano di casa coperto di libri, note, appunti (vedi foto 1). Immaginate di dover scrivere un libro, fare un discorso coerente, lungo e argomentato su un solo preciso argomento. Non è facile, ma è stimolante. E più penetri qualcosa e più capisci non solo di quella cosa, ma di tutto ciò che ti circonda. E questa capacità analitica, questa possibilità di andare in profondità è sicuramente uno strumento che ho utilizzato per creare la pagina facebook ilmioviaggioanewyork.

Foto 1

La sensazione più dura è che stessi scrivendo qualcosa che non interessava a nessuno, che non mi avrebbe portato a nulla di concreto nella vita, se non entrare in una spirale di borse di studio, attese, e lento impoverimento che è il destino ineluttabile (a me sembrava tale) di ogni umanista che attende l’occasione per uno stipendio “di stato”, un posto fisso, il riconoscimento del suo status di “intellettuale” come premio.  Se non partite da questo particolare depressivo, da questo vortice in cui ero immerso, non capirete mai la forza quasi disperata che subito dopo mi ha lanciato oltre tutto, verso New York per cambiare vita. Non capirete la voglia di fare qualcosa di nuovo, di diverso, di raccontare la bellezza delle piccole cose. Che sia un negozio, una strada, un panino, una slice di pizza. Tutto ciò che apparentemente è piccolo e insignificante nasconde quel piccolo grande tesoro che è la vita. La vita. E soprattutto interessa tutti, i genitori, il barista, il vicino.  Il dottorato non è vita, è sospensione della vita. Momento di grande crescita ma solitaria, e noi siamo esseri sociali. 

foto 2

Sono felice di averlo finito con merito (vedi foto 2, il libro è acquistabile qui), di aver potuto cambiar vita, di essere a New York, di fare impresa, di fare comunicazione, di avere tra Italia e Spagna oltre un milione di persone che mi seguono e che apprezzano quella grande narrazione di New York che io tento di fare. So che i miei colleghi di dottorato considerano questo mio essermi “sporcato le mani” una discesa agli inferi. So però che ammirano il fatto che io sia uscito fuori da quel destino di povertà a cui sembravo destinato, e dentro cui loro sono immersi, sprecando spesso una traiettoria di vita. Io per farlo, per cambiare vita e uscire dal tunnel, ho preso un aereo solo andata per New York (foto 3). E New York per me è stata la risposta a quell’unica grande domanda. Cosa fare della mia vita. Punto.

(Mi sento di ringraziare Antonio Scocozza,Vito Galeota e Carmine Pinto professori che mi hanno seguito nel dottorato)

Foto 3

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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    Il Mio Viaggio a New York - Il Documentario

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