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Emily W. Roebling, la donna che ha completato il Brooklyn Bridge

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Febbraio 26 2017

di Mariagrazia De Luca

www.mariagraziadeluca.com

E’ stata una donna a dirigere i lavori di completamento del Brooklyn Bridge. Una targa posizionata su uno dei pilastri del ponte racconta in breve la storia della famiglia Roebling, dall’ingegnere John, morto ancora prima dell’inizio dei lavori, a suo figlio Washington rimasto invalido invece in un incidente durante la costruzione.  

I costruttori del ponte (The Brooklyn Bridge Engineers Club) dedicano un tributo ad Emily Warren Roebling. 

“Dietro ogni capolavoro vi è la devozione, la dedizione di una donna”, afferma l’iscrizione. Emily ha preso le redini della situazione quando la tragedia che ha colpito la sua famiglia, prima il suocero e poi suo marito, sembrava voler impedire il completamento di quello che si rivelerà il capolavoro dei ponti, il primo ponte sospeso nella storia, il più amato dai newyorkesi e non solo. 

Emily nacque nel 1843 a Cold Spring, nelle campagne dello stato di New York, come secondogenita di dodici figli. Emily era molto legata al fratello maggiore, capo della Fifth Army Corps durante la guerra civile americana. Fu durante una visita al fratello, nei pressi del quartier generale dell’esercito, che incontrò per la prima volta l’ingegnere civile Washington Roebling, il figlio del costruttore del Ponte di Brooklyn, John A. Roebling. Neppure un anno dopo, i due erano già sposati e dopo due anni Emily dava alla luce l’unico figlio che avrà in vita sua, a cui sarà dato lo stesso nome del nonno paterno. 

Dopo la morte per infezione di tetano di John A. Roebling, prima ancora dell’inaugurazione della costruzione del ponte, il figlio si incaricò di continuare i lavori secondo il disegno originale. Tuttavia non passò molto tempo dalla tragedia del padre, quando Washington stesso fu vittima di un altro incidente sul lavoro: il “caisson disease.” Quella del cassone era una tecnica innovativa che prevedeva il posizionamento di scatole giganti (chiamate appunto caissons) di ferro e cemento nel fiume, le quali venivano riempite di aria compressa e su cui venivano poggiate pesanti pietre per farle sprofondare fino a toccare il letto del fiume. Gli operai andavano a lavorare dentro i cassoni, scavando nel fango con l’obiettivo di trovare il fondale in pietra del fiume – operazione che ha richiesto dieci mesi di scavi – sui quali poi avrebbero costruito i pilastri reggenti del ponte. Durante questo periodo molti operai iniziarono ad avere sintomi inusuali, come vomito, sanguinamento dal naso, paralisi e nei peggiori casi la morte. Ai tempi non si era capito che il repentino cambio da alta a bassa pressione causava la formazione di bolle di nitrogeno nel loro corpo con consequenze simili a quelle dei subacquei che risalgono velocemente dalle profondità marine fino in superficie.

Washington aveva contratto un caso molto serio di “caisson disease”, che lo ha costretto al letto per il resto dei suoi giorni. Mentre guardava con il suo binocolo il procedere dei lavori dalle finestre della sua casa a Brooklyn Hights, sulla collina sopra Dumbo, la moglie, che era l’unica persona ammessa in camera di Washington, lo assisteva in tutto e per tutto. Emily si assunse la responsabilità di terminare il ponte, divenendo automaticamente la prima donna della storia dedicata ad un’opera di ingegneria di tali proporzioni. 

Per quattordici anni Emily si è gettata totalmente nell’impresa ingegneristica, imparando ogni tecnica conosciuta riguartande l’arte della costruzione dei ponti, dai materiali e la loro resistenza, i cavi di costruzione (usati per la prima volta per un ponte di tale grandezza secondo il disegno di John Roebling), i calcoli matematici, ecc. tutto sempre con il supporto del marito malato. Per una donna non deve essere stato facile dover avere a che fare con i politici dell’epoca, dovendo anche essere in grado di arginare la concorrenza di altri ingegneri che volevano rubarle l’incarico dei lavori del ponte. 

Poco prima del termine dei lavori per il ponte, Emily fece anche una battaglia in difesa di suo marito, al quale si voleva togliere il titolo di capo ingegnere, a causa della debilitante malattia. 

La ricompensa è arrivata nel 1883, quando concluso finalmente il ponte, Emily poco prima delle cerimonie ufficiali, è stata la prima persona ad attraversarlo in carrozza. Con sé trasportava anche un gallo, simbolo di vittoria. 

Dopo quattordici anni di lavori, con l’impiego di circa 4.000 impiegati, e per il costo di circa $15 milioni di dollari il ponte di Brooklyn, con il suo chilometro e ottocento metri di lunghezza e le 18.700 tonnellate di granito e acciaio, è completato. Le isole di Brooklyn e di Manhattan sono state unite indossolubilmente da questa incredibile opera architettonica, tanto che nel 1898 la città indipendente di Brooklyn è entrata a far parte di New York City. In meno di mezz’ora di cammino tanti pendolari, turisti, viaggiatori e residenti, hanno iniziato a spostarsi velocemente da un’isola all’altra, senza bisogno di prendere battelli. 

Oggi come oggi, il ponte di Brooklyn è uno dei maggiori collegamenti della rete di trasporto della città, su cui passano giornalmente oltre 100.000 macchine. Il ponte. che è stato d’ispirazione per tanti altri ponti costruiti successivamente, è stato cruciale in due momenti critici vissuti dai newyorkesi di Manhattan. Sia durante l’attentato terroristico del 9/11 che durante il blackout  dell’agosto del 2003, migliaia e migliaia di persone si sono riversate sul ponte utilizzandolo come via di fuga. Nonostante le forti oscillazioni e il gemito rumoroso dei massicci cavi di acciaio, il ponte ha retto  sempre e comunque retto. 

Attraversare il Brooklyn Bridge a piedi resta per me una delle più emozionanti esperienze da fare nella Grande Mela. Lo è in ogni ora del giorno, ma soprattutto al tramonto, salendovi dal lato di Brooklyn per camminare in direzione Manhattan. Lo skyline è semplicemente mozzafiato, con le luci dei grattacieli che si accendono mentre i colori del tramonto esplodono tra la linea del cielo e del fiume, con la Statua della Libertà e la Freedom Tower a ricordarci di quanto speciale sia il momento e il luogo di cui stiamo facendo esperienza. 

 

 

 

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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