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A Manhattan una mostra tutta dedicata alla Serenissima

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Febbraio 4 2017

di Mariagrazia De Luca

Camminare tra i quadri della mostra Memories of Serenissima (in corso fino al 2 di marzo 2017)  all’Istituto Italiano di Cultura nell’Upper East Side, tutta dedicata agli artisti veneziani del XIX secolo, è come fare un viaggio temporale nella Venezia del passato.

Questo evento tutto dedicato alla Serenissima è il punto di arrivo di un progetto culturale di tre anni sulla pittura italiana dell’Ottocento, e parte del festival musicale in corso del Carnegie Hall, La Serenissima. Il curatore Marco Bertoli, con oltre trent’anni di esperienza nel campo artistico e nel commercio di opere d’arte, è considerato uno più famosi esperti di pittura e scultura italiana del 1800. La prima mostra curata da Bertoli tre anni fa è stata dedicata alla Toscana dei Macchiaioli, la seconda alla Scuola Napoletana, concludendo infine il percorso quest’anno con la Scuola Veneziana.

Gli artisti a cui la mostra è dedicata non sono sempre mainstream ma, forse proprio per questo, raccontano la città in una forma originale e autentica. Nelle loro opere non rappresentano la Venezia da “cartolina” e da sogno, ma scene di vita reale e scorci atipici che rompono con la tradizione classica dei “landscape” veneziani.  

I pittori amano rappresentare “realisticamente”, secondo il trend del Verismo in voga in Europa in quegli anni, le feste familiari, le cene, i lavori più umili come quelli dei pescatori veneziani, ed anche scene dolorose come la madre che accudisce il bimbo malato. 

 

 

All’epoca di Giovanni Boldini, Giacomo Favretto, Pietro Fragiacomo, solo per citare alcuni tra i tanti artisti della “scuola veneziana”, la penisola italiana era un territorio frastagliato in tanti staterelli, oppure, per le opere realizzate più vicino alla fine del secolo, l’Italia era appena divenuta una nazione unita e indipendente (1871). La Repubblica di Venezia, la Serenissima, era stata annessa al neo-stato nel 1866 e la mostra ci racconta la quotidianità di questo periodo cruciale nella storia della città. 

Tra le tante opere, sono rimasta incantata dal quadro intitolato Festa di battesimo (1882) di Eugenio de Blaas. Le pieghe del vestito, lo sguardo seduttivo della donna che balla e l’espressione d’ammirazione dell’uomo seduto di fronte a lei, l’intesa e la complicità tra i due. “Chi lo dice che siamo a Venezia? Potrebbe essere una scena napoletana, o comunque del sud d’Italia” commenta Emanuele, il ragazzo assistente agli eventi dell’Istituto di Cultura Italiano. Nonostante ogni città abbia la sua identità, i “vicoletti” dei centri storici italiani si somigliano tutti. 

I dettagli del dipinto sono incredibili, così come i colori accessi, i pizzi dei vestiti finemente ricamati, l’espressione amorosa della mamma verso il bimbo. 

Il gioco di colori nei riflessi del cielo e dell’acqua nel quadro intitolato  In laguna (Laguna di Venezia) di Pietro Frangiacomo non sembra avere eguali in quanto a poeticità. Il pescatore che muove la barca col remo sembra essere assorbito in un mondo irreale di luci e colori,  ma che, allo stesso tempo, è “geograficamente” riconoscibile per lo sfondo: il centro storico di Venezia spicca con il campanile di San Marco, piccolino da lontano, ma riconoscibilissimo.

Momenti familiari raggiungo l’apice del realismo in Il cantastorie (1860) di Vittorio Emanuele Bressanin, in cui donne e bambini prestano ascolto ad un uomo alle prese con il racconto di una storia che, vista l’attenzione che gli prestano gli ascoltatori, deve essere avvincente. Il quadro del cantastorie mi lascia immaginare di come poteva essere la vita familiare veneziana (e italiana) quando la televisione e internet non erano ancora tra i nostri mezzi di comunicazione e “distrazione”. La casa è semplice, con pochi ornamenti, le pentole sono appese come si faceva una volta e la bottiglia in vetro – solo una- è poggiata sopra il pensile. Non esisteva di certo il riciclaggio, ai tempi. Mia nonna aveva una gonna a fiori simile alla ragazza in primo piano di spalle, e l’acconciatura a cipolla era la moda della sua generazione, come di tante altre passate.

Alcuni dei quadri sono più minimalisti, con pennellate di colore nette che rendono un’atmosfera vibrante, da sogno. La luce di Venezia ha qualcosa di magico, di avvolgente, e Beppe Ciardi con il suo quadro Sul Molo. Fanciulle di Burano è riuscito a rendere questa sensazione di evanescenza, di poeticità e estrema malinconia che solo questa città, con poche altre città al mondo, sa trasmettere.

Barche di pescatori in laguna (1888) di Guglielmo Ciardi è una finestra sul mare veneziano. I quadri di Ciardi vanno goduti di persona, in quanto la fotografia tradisce i magnifici effetti luminosi che il pittore è in grado di trasmettere attraverso i colori. Il cielo si confonde con il mare sulla linea dell’orizzonte nella luce del sole che va scemando verso la notte. E’ il momento in cui il pescatore inizia la sua giornata di lavoro, con le vele in lontananza e le tipiche “bricole” in vista (tipici pali di legno conficcati a terra e uniti tra loro indicano i canali nella laguna di Venezia).

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Grazie a questi pittori della scuola veneziana di fine Ottocento (alcuni d’adozione come il romano De Blaas o il calabrese Rubens Santoro), possiamo oggi venire a conoscenza di realtà passate ormai scomparse, di cui, senza il contributo di questi artisti, non avremmo potuto mai fare esperienza. E la cosa straordinaria, per tutti noi in viaggio a New York, è che ci è stata regalata, grazie all’impegno del curatore Marco Bertoli, la possibilità di incontrare la Serenissima qui, nel cuore di Manhattan.

(Nella foto, Marco Bertoli al centro in compagnia di Jovanotti e il console italiano di New York City, Natalia Quintavalle durante la seconda mostra da lui organizzata all’Istituto di Cultura Italiana dedicata alla Pittura Italiana del 1800)

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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