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St. Marks Pl., la strada piu’ hippy di New York. Nel libro di Ada Calhoun

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Febbraio 7 2016

 

di Mariagrazia De Luca 

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Ada Calhoun è una giovane scrittrice newyorkese che ha appena pubblicato un libro, St. Marks is dead, il quale ha riscosso un grande successo tra la critica e i lettori (qui nella Grande Mela e non solo). Ada, nonostante la sua giovane età, ha alle spalle tanti anni di esperienza come scrittrice. Oltre ad aver lavorato per il New York Times, The Republic, la rivista New York, è stata una “crime reporter”  per il New York Post. Quest’ultima esperienza da “detective”, l’ha sicuramente aiutata nel portare avanti la mole immensa di lavoro di ricerca che c’è dietro questo suo straordinario libro. Ada racconta di questa strada, St. Marks, composta di appena “3 blocks” (da 3rd Avenue a Avenue A), nel cuore dell’East Village, dove a quanto sembra ne sono successe di tutti i colori. Ripercorrendo la storia di St. Marks a partire da quando la strada non si chiamava neppure St. Marks e Manhattan era una foresta abitata dagli Indiani d’America, Ada poi racconta dei primi colonizzatori, le ondate migratorie tedesche (St. Marks era la Klein Deutschland, la Little Germany!), degli anarchici che abitavano in quella che veniva poi soprannominata Hail Marx Place, dell’epoca delle guerre di mafia, quando i gangster scavano “underground tunnels” (e la mafia italiana era delle più temute!), fino agli hippies, ai punk rockers, agli skinhead. Ci credete che Patti Smith, i Ramones, i Beastie Boys e Andy Warhol “bazzicavano” St. Marks tutti i giorni? Infine Ada conclude il suo libro con la St. Marks di oggi: un “Living Museum”, con tutti i ristoranti giapponesi, la banca, lo Starbucks, gli affitti alle stelle e i grandi club rock che hanno chiuso i battenti. Ci sono negozi storici vintage, come “Search & Destroy”, ma quell’energia vibrante di un tempo sembra essersi affievolita. Nonostante ciò, sembra dire Ada, St. Marks è ancora il cuore pulsante della Grande Mela.

Ada, tu sei nata e cresciuta a St. Marks Place, ma nel tuo libro non parli delle tue memorie personali, quanto piuttosto della “Storia” e delle tantissime “storie” accadute in questa strada speciale di New York. Come sei venuta a sapere di tutto ciò e che significa crescere in un posto come St. Marks?

 E’ curioso che, anche se sono cresciuta qui, ai tempi non sapevo niente di tutte queste storie accadute a St. Marks. Ne sono venuta a conoscenza più recentemente, quando ho iniziato a fare un lavoro di ricerca. Magari avessi potuto sapere tutto questo prima, quando ero più giovane, perché avrei apprezzato di più il quartiere, riconoscendo i vari strati del passato storico di ogni edificio. Avrei pensato, questa persona famosa viveva qui, quest’altra di qua… e mi sarei sentita in un rapporto di continuità tra passato e futuro.

Crescere a St. Marks è stato per te normale?

Sì. Era un posto come tanti altri. Ancora mi ricordo della prima volta che vidi un suburbio. Fu quando andai a visitare un mio cugino che viveva in una piccola cittadina dell’Ohio. Arrivata lì mi sembrava tutto favoloso e divertente. Non sapevo le regole del football, non conoscevo i drive-in, etc. Allora ho iniziato a pensare che abitare a St. Marks fosse orrendo, e avrei voluto invece vivere in campagna.

Nel tuo libro ho letto che volevi diventare una contadina?

Già, ma è durato poco, poi ho trovato la campagna così noiosa. Ti vizia un po’ il fatto di crescere in città.

In Italia noi siamo cresciuti “mangiando” tantissima cultura americana. Penso alla ‘gente’ che abitualmente frequentava St. Marks, come Andy Warhol, i Ramones… e come hanno enormemente influenzato la nostra musica rock e l’arte in generale. E mi chiedo, esiste un corrispettivo romano di St. Marks Place? O ci sono delle “copie” italiane di St. Marks in cui si respira un’aria culturale simile (penso a San Lorenzo, vicino la città universitaria).

E’ curioso, io sono stata a Roma per la mia luna di miele… ma non saprei dire. Qualcuno mi ha detto che a Parigi c’è un corrispettivo di St. Marks: Saint- Germain-des-Prés.

 Nel tuo libro parli di “golden age” di St. Marks Place. E affermi che ce ne sono state tante di “epoche d’oro”, non solo una. E’ vero?

 Esatto. La mia epoca d’oro è stata negli anni ‘90, quando ero una teenager. Mentre facevo interviste per scrivere il mio libro, e chiedevo alle persone di St. Marks quale secondo loro era la “golden age”, ognuno mi rispondeva con una data differente: il 1954, il 1997, etc. Allora ho iniziato a fare dei conti matematici, in relazione all’età di ognuno. Ne uscì fuori un’interessante dato: per ognuno la golden age era quando aveva 19 anni.

Essere diciannovenni oggi a St. Marks Place o esserlo stato durante gli anni ‘70 o‘80, diciamo quando i Ramones e tutti i rockers andavano in giro per i mitici club dell’East Village… quanto è diverso? E’ ancora una St. Marks autentica oggi?

Onestamente, non so cosa stai succedendo oggigiorno, con i teenager. Lo sapremo in qualche anno. Nessuno sapeva chi fossero i Ramones quando hanno iniziato. Erano quattro ragazzini del Queens, che disturbavano suonando a tutto volume, e solo dopo si è realizzato… wow, erano alcuni dei musicisti migliori del mondo! Ci sono cose che stanno succedendo adesso, che i ragazzi sanno e noi ancora no. Vedremo…

 C’è un quartiere di New York che svolge il ruolo culturale avanguardistico di St. Marks (oggi un po’ “turistica”). Ho pensato a Bushwich, dove ci sono tanti artisti, concerti rock, discoteche, iniziative culturali indipendenti.

Sì, nel quartiere di Bushwich i giovani sono “very free”, gli affitti bassi, e aprono in continuazioni gallerie d’arte, fanno concerti. 

 Pensavo a St. Marks place come un “extreme mirror”, uno specchio estremo di New York, dove le cose accadono in anticipo e sono spesso estreme e così rilevanti per la città e il mondo.

Sì, mi piace l’immagine di “extreme mirror”. St. Marks è più New York di molte altre parti di New York. Durante le grandi ondate migratorie, qui sono arrivati più immigrati, durante la crisi economica degli anni ‘70, c’era più crisi economica in questo quartiere, oggi invece è una delle zone più ricche. Poi ci sono state rivolte, sindacalisti, e tanta energia. E ancora oggi c’è tanta energia. Puoi vedere teenagers andare in giro alle 2 a.m. per le strade.

  In uno dei miei viaggi esplorativi di New York, ero alla ricerca dell’atmosfera rock degli anni ‘70 e ‘80 e sono andata a visitare la vecchia sede del leggendario club CBGB, che oggi non è altro che un negozio di vestiti carissimi, anche se hanno mantenuto il vecchio muro del locale, con locandine dell’epoca e altri “reperti”.

Quando ero adolescente, ci andavo spesso. C’erano tante bands, alcune erano ok, altre erano pessime. C’erano meno persone già negli anni ‘90, non c’era più quell’energia ribelle di un tempo.

 Ci sono tantissimi personaggi nel tuo libro, Mr. Zero, skateborders, mafiosi, filantropi. Come hai fatto a mettere insieme tutte queste storie?

 Ho fatto tantissime interviste, oltre 250, ho parlato a gente per strada, e ogni persona m’indirizzava ad almeno altre cinque, avevo una lista di oltre 700 a un certo punto. Chiedevo a tutti: qual è la tua favorita storia o memoria di St. Marks? Ho trascorso tanto tempo nella biblioteca, ho letto migliaia di libri riguardante la strada, poi ho cercato informazioni utili in archivi storici, visitato musei, alcune persone inoltre mi davano libero accesso alle loro cantine, e ho comprato anche vecchie foto degli anni ‘60 e ‘70 su e-bay per pochi dollari.

Il tuo lavoro d’investigatrice di crimini per il New York Post ti ha aiutato?

Sì, ho rintracciato personaggi di cui nessuno sapeva più nulla e sono riuscita a intervistarli.

La mafia italiana era davvero così potente a St. Marks Place?

 Moltissimo. Nel 1920 la mafia ebrea e quella italiana avevano un grande potere e si odiavano tantissimo… C’è stata proprio in questa strada una sparatoria terribile tra le due gang. La mafia italiana, the Black Hands era spaventosa, crudele. Davano dei lecca-lecca neri ai bambini nelle scuole del quartiere, per ammonire i genitori: vedete? Noi possiamo arrivare fino ai vostri figli!

E’ difficile pensare al futuro di St. Marks tra dieci anni?

 Credo che sarà sempre una destinazione speciale. Ci sono tantissimi europei oggi nell’East Village, puoi sentire cosi tanti accenti camminando per le strade. Non so come la gente si vestirà, sicuramente qualcosa che a noi sembrerà ridicolo. E’ anche una passeggiata piacevole dalla metropolitana al parco. E credo che un giorno non sarà più così cara…

E magari potrai tornarci a vivere?

perché no?

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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