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Alla scoperta dei graffiti del South Bronx.

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Gennaio 25 2017
January 24 2017
di Mariagrazia De Luca

 

Era il 1977 quando, durante una partita di baseball dei New York Yankees contro i Los Angeles Dodgers, il giornalista interruppe la telecronaca della partita, affermando una frase poi  diventata celebre: “Ladies and gentlemen, the Bronx is burning!”. Il Bronx è in fiamme. E in fiamme lo era davvero. Dal South Bronx si alzavano lingue di fuoco enormi che si intravedevano sin dal Yankees Stadium, ma quello spettacolo dantesco non era una novità per nessuno. Gli abitanti del South Bronx erano abituati a vivere nella decadenza del loro quartiere, una decadenza diffusa per tutta la città, che cercava di riprendersi da una severa bancarotta. La miseria era talmente disperata che, pur di ricavare soldi dall’assicurazione, erano gli stessi proprietari a causare incendi dolosi nei propri edifici. I vigili del fuoco ricevevano chiamate ogni 30 minuti, e le sirene suonavano senza sosta per le strade del South Bronx piene di fumo nero.

Di tutto il borough del Bronx, il South è stato sempre quello più problematico, quello con povertà e di conseguenza con un tasso di criminalità più elevato. In parte lo è ancora, nonostante le politiche di riqualificazione territoriale dei sindaci degli ultimi decenni, e nonostante la “gentifrication” imperante che sta spingendo gli abitanti del quartiere a lasciare le proprie case, dove spesso sono nati e cresciuti, per andare a vivere in un altro quartiere più economico. Eppure l’Hip Hop, la breakdance e i graffiti sono nati qui, nel South Bronx, in quegli anni ’70 che erano disperatamente decadenti, ma allo stesso tempo estremamente fecondi per artisti che non avevano neppure soldi per comprarsi strumenti musicali. 

I primi rapper si definivano MC, ovvero Masters of Ceremony, una sorta di presentatori o intrattenitori che parlavano al microfono mentre il DJ tagliava parti di canzoni di James Brown, tipo Funky drummer o degli Chic, Good times. Il DJ continuava a ripetere il break, la parte strumentale con batteria e basso,  mentre il MC, (che in molti casi era lo stesso DJ) iniziava a cantare piccole frasi, poi versi che diventavano canzoni. L’hip hop si è sviluppato soprattutto nei parties del South del Bronx di Kool DJ Herc, ma la forma originale è stata portata originariamente nei ghetti del Bronx da immigrati giamaicani. 

E’ incredibile pensare che l’Hip Hop, oggi sempre al vertice di tutte le classifiche degli Stati Uniti, è stato inventato dai ragazzi poveri del South Bronx.

Passeggio alla ricerca di graffiti che mi raccontino la storia incredibile del South Bronx, e mi rendo conto di come questa street art sia autentica, di come nasca dall’urgenza di raccontare, di uscire dal silenzio, dall’anonimato, dalla necessità di ribellarsi, di come sia un grido che ha bisogno di trovare ascoltatori. Scopro che molti dei graffiti sono stati fatti da Tats Cru, dei ragazzi che iniziarono a farli clandestinamente nella metropolitana negli anni ’80 e sono diventati, nel corso degli anni,  dei maestri riconosciuti e rispettati in tutta la città e altrove. 

Amadou Diallo

Non tutti hanno sentito parlare di questo ragazzo ventitreenne, immigrato dalla Guinea con la sua famiglia, e rimasto ucciso da 41 colpi di pistola tirati da quattro poliziotti, che hanno scambiato il suo gesto di estrarre il documento dalla giacca come una minaccia e hanno scaricato sul suo corpo tutte le cartucce a disposizione. Non certo il massimo della professionalità, ma nel South Bronx c’erano le leggi del Far West, e si sparava facile, per niente. Bruce Springsteen ha dedicato una canzone a Amadou Diallo, American Skin (41 shot). Fa venire la pelle d’oca ascoltarla, mentre si legge quello che è scritto sul graffito: Mom, I am going to college. E a pensare che i quattro poliziotti sono stati assolti come “not guilty”, ossia ne sono usciti completamente puliti.  

Headhache Nelson 

I Latin Kings sono una gang internazionale, che era molto potente nel South Bronx e sembra che Headache Nelson ne sia stato uno dei capi più importanti. Un bel ragazzo, dai tratti latini, che a quanto si dice godeva del diritto primae noctis verso tutte le ragazze del quartiere. E’ stato questo il motivo per cui è stato ucciso? Un’altra leggenda dice che a sparargli sia stato il fratello che voleva entrare a far parte dei Latin Kings, ma Nelson glielo aveva negato. “Dimostraci che sei pronto a fare di tutto per la tua gang e uccidi Headache Nelson”, gli avrebbe detto uno dei capi dei Latin Kings californiani. E’ andata proprio così? Poco più avanti c’è anche il graffito di Nelson affiancato dalla sua girlfriend. Sembra che anche lei sia rimasta uccisa in una di queste sparatorie tra bande.

Baby Angel

Proiettili volavano nell’aria facilmente nel South Bronx e Jonathan, un bambino di sette anni, sembra sia rimasto vittima di uno di questi, mentre giocava con una palla fuori ad una lavanderia. A quanto pare l’assassino era un uomo ubriaco in possesso di una pistola. Jonathan è ricordato dalla gente del quartiere come Baby Angel.

I love the Bronx

Un graffito incredibile che racconta tutta la storia del Bronx per immagini, opera di Tats Cru.  

B… 

Nella B vi sono le due icone più famose del Bronx: il Botanical Garden e il Bronx Zoo, oltre che bambini alle prese con un baseball piuttosto “artigianale.”

R…

La subway, il ponte… 

O…

Il DJ, il ballerino di breakdance, il treno old-fashion e una sorta di venditore di granite (alcuni qui le chiamano “raspados”) che grattuggia una tavola di ghiaccio,  mescolandolo poi con sciroppi di vario tipo fatti in casa. Di sfondo gli edifici abbandonati, la bandiera di Puerto Rico… 

N…

L’autobus di linea, le scarpe appese ai cavi elettrici (simbolo della stata sconfitta della gang avversaria), le bambine che giocano a corda…

X…

Lo stadio degli Yankees, il tamburo e il dominò, tanto amato dai tanti immigrati domenicani e portoricani che ancora oggi si siedono d’estate con i tavolini fuori le case ore ed ore a sfidarsi in questo gioco tradizionale.. 

Africa Bambaataa

La neve ha reso tutto più magico, nella mia passeggiata alla scoperta dei graffiti del South Bronx. Il volto di Africa Bambaataa sembra una fotografia.  L’artista ha usato oltre 15 strati di colore per rendere l’effetto così realistico. Il riflesso della lente degli occhiali di Africa Bambaataa è un dettaglio che mostra l’abilità di Jorit, conosciuto come Agoch, che – ho scoperto per caso- è nato a Napoli da madre olandese e padre italiano. 

Africa Bambaataa, prima di diventare DJ, era parte di una famosa gang, The Black Spades, nata come un’organizzazione di teenagers che seguiva gli insegnamenti di Malcolm X e Black Panthers.  Africa Bambaataa ha trasformato The Black Spades in Zulu Nation, un gruppo internazinale hip hop, che, oltre alla diffusione di questo genere musicale, promuove “peace, love, unity and having fun” tra la comunità del Bronx ma anche a livello internazionale. Qualcuno ha attribuito ad Africa Bambaataa di aver coniato il nome hip-hop ma non è sicuro. 

Big Pun 

Bisogna essere dei fanatici dell’hip hop per sapere in Italia chi sia Big Punisher,  conosciuto come Big Pun, il primo rapper latino a vincere dei premi musicali importanti. Invece qui nel Bronx è amatissimo, e i graffitari gli hanno dedicato tante opere. Le canzoni di Big Pun raccontano le lotte quotidiane che le persone fanno nel quartiere per sopravvivere, per farcela. Lui è un esempio di questa lotta dal basso, essendo cresciuto con una madre eroinomane e un padre che entrava e usciva di galera. Big Pun stesso aveva un problema di salute serio: lottava contro l’obesità (era arrivato a pesare oltre 300 kg), la stessa che lo ha probabilmente portato a morire per un attacco al cuore il 7 febbraio del 2000.

Sebbene Big Pun sia morto molto giovane, all’età di 29 anni, gli artisti fanno di tutto per renderlo immortale. 

Official video: Still not a player (1998)  

It’s Big Pun!

The one and only son of Tony, Montana

You ain’t promised mañana in the Rotten Manzana

C’mon pana e need more rhymers

Feel the marijuana snake bite, anaconda

A man of honor wouldn’t wanna try to match my persona

Sometimes rhymin’ I blow my own mind like Nirvana, comma!

And go the whole nine like Madonna

Go try to find another rhymer with my kind of grammar!

(from The Dream Shatterer, 1998)

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Piero Armenti

Journalist, Writer, NY Urban Explorer

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